La Lingua Arbëreshe
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Un elemento che caratterizza e distingue le comunità arbëreshe è la lingua.
La lingua arbëresh si tramanda oralmente da padre in figlio,con le caratteristiche del tosco o del ghego, a seconda della provenienza geografica dall'Albania.
Purtroppo ultimamente accade che quanto più viene utilizzato l’italiano,tanto più regredisce la conoscenza della propria lingua e di conseguenza ne risente la propria identità.(La nostra associazione pone come obbiettivo anche quello della salvaguardia della lingua).
La tradizione orale è uno dei tratti più caratterizzanti gli arbëreshe in Italia.La conservazione dei costumi e della cultura popolare arbëreshe è avvenuta, e avviene, quasi esclusivamente attraverso fiabe, leggende, canti popolari e religiosi, proverbi.(Anche se ultimamente si stanno facendo dei passi in avanti per una codificazione della lingua arbëreshe e esistono vari testi per impararlo)
La poesia e la novellistica popolare e religiosa hanno rappresentato nel passato il canale espressivo più immediato e spontaneo dei valori che stanno alla base della cultura arbëreshe. E la nascita di una tradizione letteraria scritta arbëreshe poggia le sue basi sulla tradizione orale popolare e religiosa.
La letteratura scritta affronta già dalle origini il problema del collegamento con la lingua di tradizione orale. Fino al XVI secolo l'albanese non aveva sviluppato una propria tradizione scritta, che nasce, programmaticamente e consapevolmente, solo nel 1592 con l'opera E mbsuame e Kresthere (traduzione della Dottrina Cristiana del gesuita Ladesma e prima testimonianza assoluta del tosco meridionale) del siciliano arbëreshe Luca Matranga. Qui, per la prima volta nella storia della lingua albanese, sul modello della lingua popolare vengono poste le basi per la normalizzazione della lingua scritta in tutti i suoi aspetti (fonetico, morfologico, lessicale, sintattico, funzionale, stilistico) e anche dell'unificazione dell'alfabeto e dell'ortografia. L'alfabeto latino del Matranga sarà alla base di tutte le elaborazioni successive fino alla forma attuale dell'alfabeto albanese.
La riflessione sulla lingua e il problema della normalizzazione grafica fu un campo di interesse comune a tutti i successivi autori arbëreshe. Tra gli altri N. Brancati (1675-1741) e N. Keta (1740-1803) si occuparono della normalizzazione del lessico, mentre l’arberesh Girolamo De Rada (1814-1903) tentò con più sistematicità di fornire un quadro teorico e grammaticale per le parlate arbëreshe. Anche altri studiosi, come Demetrio Camarda (1821-1882) e Giuseppe Schirò (1865-1927) si occuparono del rapporto tra parlate arbëreshe e lingua scritta. Per le già ricordate ragioni di intenso e intimo legame tra tradizione orale e lingua scritta, e tra la storia linguistica e letteraria degli albanesi d'Italia e la storia dell'albanese in generale, le riflessioni elaborate in tali sedi ebbero una rilevante importanza anche per la definizione delle norme grafiche dell'albanese attuale.
Tuttavia fu con Mario La Piana (1883-1958) che iniziò tra gli albanesi d'Italia una tradizione di studiosi della lingua e della cultura albanese, dotati di teorie e metodi avanzati.
In seguito, numerosi linguisti, letterati, storici delle tradizioni popolari e antropologi hanno studiato, e studiano, con particolare attenzione il rapporto tra oralità e scrittura arbëreshe. Tuttavia tale rapporto si presenta ora in termini nuovi. Infatti nonostante lo sforzo di tutti gli autori arbëreshe di basarsi sulla tradizione orale, la distanza tra lingua scritta e lingua parlata si è venuta sempre più ampliando. Sebbene vi sia una tendenza da parte dei letterati all'uso scritto di un albanese che conservi caratteristiche dell'arbëresh, per la quasi totalità dei parlanti l'oralità continua ad essere l'unica forma di apprendimento e uso della lingua. La c o m p e t e n z a scritta, attiva e/o passiva, rimane privilegio di una esigua minoranza e si orienta sempre più decisamente verso la lingua letteraria albanese. Se da un lato, quindi, gli scrittori e i letterati portano ai più alti livelli l'arbëresh nella sua forma scritta, dall'altro questa va sempre più perdendo il suo carattere dialettale, mantenuto in vita solamente dalla tradizione orale, a sua volta influenzata dalla diffusione, attraverso la scolarizzazione e i mass-media, della lingua italiana e dei suoi dialetti.(Ed è proprio questo l’intento della nostra associazione cioè quello di mantenere viva e pura l’arbëresh medievale).
Le parlate arbëreshe, conservatesi ed evolutesi per ben cinquecento anni, non hanno avuto contatti diretti e continui tra loro e con le altre parlate della lingua dalle quali si sono distaccate. Esse si presentano come isole linguistiche nel mezzo di una ambiente linguistico romanzo, e hanno subito modificazioni varie sia per l'azione dell'italiano sia dei dialetti circostanti. Per tali ragioni, pur mantenendo nella loro struttura fonetica, morfosintattica e lessicale tratti comuni, le parlate arbëreshe registrano variazioni consistenti.
L'enorme influsso dell'italiano e dei dialetti romanzi ha infatti modificato la struttura della lingua. In morfosintassi ad esempio si assiste alla presenza di costruzioni del futuro con kam + infinito, sul tipo di futuro habeo ad cantare, caratteristico per i dialetti italiani della Puglia, della Sicilia, della Lucania, della Calabria e dell'Abruzzo. Esempi di costruzioni sul modello italiano, dapprima in ambito letterario ma ora attestato anche nelle lingua popolare, sono inoltre le costruzioni del passivo per mezzo del verbo vinj (vengo): vjen thritur.
La forza penetrante dell'italiano si nota anche nella tendenza all'economicità della lingua e alla modifica morfologica di numerose forme. Alcuni effetti di notevole portata sono la tendenza alla limitazione della declinazione, con l'uso frequente dei nomi in nominativo invece dell'accusativo; ancora più visibile, è, in alcuni casi la modifica dell'articolo prepositivo, dove al posto di i, e con dhi (di) italiano.
Ma ciò che caratterizza di più l'arbëresh è il lessico, ed in particolare la mescolanza col vocabolario italiano e dialettale, che si notava già dall'uso di italianismi in Variboba (1724-1788). Infatti vi sono parole che esistono solo nelle parlate arbëreshe e che sono per lo più prestiti dal greco e dall'italiano dialettale. Esse si presentano con un tema albanese e un suffisso italiano. Nel Dizionario degli Albanesi d'Italia di E. Giordano del 1963, si calcola che solo il 45% dei vocaboli arbëresh sarebbero in comune con l'albanese, che i neologismi creati dagli scrittori arbereshe e passati nell'uso popolare sarebbero circa il 15%. La restante parte del lessico proverrebbe dall'italiano, dai dialetti romanzi d'Italia e, in misura minore, da grecismi ed esotismi in genere. Attualmente il progressivo abbandono della secolare economia agricolo-pastorale, il mutamento radicale della trasmissione delle informazioni, la diffusione dei mezzi di comunicazione di massa e la maggiore scolarizzazione stanno (oltre a modificare la competenza linguistica dei parlanti) accentuando tali aspetti. Per cui si assiste, da un lato alla perdita di vocaboli appartenenti a campi semantici legati alla vita economica tradizionale, e dall'altro a una sempre maggiore penetrazione di elementi italiani, più che dialettali, nel sistema linguistico dell'arbëreshe.