“Chi non ricorda, non vive”. E’ questo pensiero che ha accompagnato l’Amministrazione comunale nella pubblicazione di K’shtù a fjasmi na.
I proverbi, i canti e le poesie della nostra cultura arbereshe contenuti nell’opera sono figure del ricordo fondamentali per ricostruire la nostra memoria storica; è un recupero dei segni del nostro passato umano e culturale.
Questa riscoperta delle proprie radici, fortemente esaltata nel V Centenario della fondazione di San Basile, potrebbe sembrare agli scettici come una malinconica operazione di nostalgia; ma ad un occhio attento e riflessivo, invece, risulterà memoria delle generazioni passate come strumento utile per conoscere e impostare meglio l’avvenire.
Mons. Martini ha affermato che “se la memoria del passato si fa debole, ciascuno di noi si sente un po’ più solo”; questa indicazione ha in sé il concetto della perdita, presenza duplice in questa opera, che passa da quella della tradizione popolare di San Basile a quella umana.
L’opera tende a preservare queste “mancanze” e la raccolta meticolosa e scrupolosa di tutto il materiale operata da Basilio (e affinata da Franco e Costantino) è un doppio invito: quello di non disperdere la nostra identità e, nel contempo, dare la percezione che gli amici, i familiari, i concittadini che abbiamo perduto strada facendo, non ci hanno mai lasciato del tutto.
E’ un commosso “racconto”: un narrare persone, luoghi, storie di un tempo passato attraverso proverbi e poesie che, trasportati sul filo della memoria, scorrono fluidi in queste pagine come una storia letta davanti al focolare.
La pubblicazione è un regalo degli autori alla gente di San Basile, un libro che parte da lontano, una ricostruzione che oggi, da Sindaco di questo Comune, ho l’onore di presentare.
E’ un regalo personale di Basilio alle giovani generazioni del paese; lui da giovane uomo, fortemente impegnato in tutti i campi, opera un viaggio nella memoria esaltando il suo forte senso di appartenenza alla nostra comunità.
Questo l’auspicio, perché “perdere la memoria significa mettere a repentaglio la propria capacità autonoma di sviluppo”.